cantautore…compositore, digipintore

La fune nel pozzo

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LYRICS

LA FUNE NEL POZZO
brandelli di idee
che errano in tondo
mosaico screziato
nel quale mi specchio
il dolce e l’ aspro
si mescono fluidi
compongono insieme
l’ umore introverso
in cui sono immerso
e getto la fune nel pozzo
e quando la tiro su a me
ne cavo un secchio di malinconia
compagna difficile e amata
che mi intrattiene con la sua bellezza
e mi offre nuove visioni
mi narra una storia che so mi appartiene
struggente mi muove e mi tempra
nel segno di un’ anomalia

rimastico versi
che intesso in note
ne sputo gli scarti
e suggo dai fiori
in lucide gocce
le essenze di questa
soverchia passione
che come un liquore
mi brulica in cuore
e getto la fune nel pozzo
e poi ritorna da giù
col secchio che trabocca di follia
che esca… si, che venga fuori
sacrale ossessione per tempo scandita
su un credo di eretici accordi
diventa un salmo di liberazione
instaura un nuovo tenore
che schiude al prodigio la via

contemplo i tratti
dell’ ardua chimera
ne brillo i contorni
finché non li annullo
vacante il silenzio
tintinna di echi
sta l’ anima in quiete
con gli occhii e il viso
che dentro hanno il riso
e getto la fune nel pozzo
e ancora io la chiamo su
riporta un secchio colmo di allegria
che sprizza giocosa all’ intorno
porgendosi in dono adesso ha una forma
e canta trovando il suo tono
si afferma e conquista il suo posto nel mondo
effonde la propria alchemia
come realizzata utopia

Introduzione

Gettare la fune nel pozzo è metafora di un’ operazione di scandaglio interiore. E ciò che ne tiriamo su con il nostro secchio è ciò che risiede nelle nostre profondità. Guardarsi dentro è un atto di conoscenza, una presa di consapevolezza. Qualsiasi cosa vi si riscontri, non va rimossa: è il nostro presente e da lì bisogna partire.
Possiamo trovarvi malinconia, e questa non deve restare repressa: deve raccontare la sua “storia”, ha qualcosa da dirci su di noi. Essa è il punto di partenza: se lo rimuoviamo rifiutiamo noi stessi. Del resto la malinconia era sentimento caro agli antichi greci: secondo la loro teoria, l’ umore malinconico era considerato lo stato d’ animo creativo per eccellenza: definito anche con l’aggettivo saturnino poiché nell’ antichità agli influssi del pianeta Saturno era attribuita la tendenza alla malinconia così come anche all’ introspezione, alla divagazione fantastica e all’ elucubrazione, tutti atteggiamenti che stanno spesso alla base della creazione artistica. Tale umore è in grado di offrirci punti di vista differenti (“nuove visioni”) schiudendoci squarci sulla quotidianità. Il dolore, la tristezza acuiscono la sensibilità, ci fanno vedere il mondo in modo diverso, ci aprono il cuore verso chi soffre e ci rendono meno aridi.
Oppure in fondo al nostro pozzo possiamo trovare follia: follia è ciò che abbiamo in testa, i nostri pensieri, sogni, aspirazioni, che brulicano… Se li coltiviamo diventano veri (instaurano “un nuovo tenore”), altrimenti sono solo vaneggiamenti se non li liberiamo e mettiamo in atto attraverso una dedizione fedele, fervente e costante (“sacrale ossessione per tempo scandita”).
Solo se ci liberiamo di questi fardelli e sbrogliamo queste matasse interiori possiamo arrivare a essere leggeri e raggiungere l’allegria, che viene dall’ appagamento, dalla realizzazione. È un’ operazione alchemica (come esplicita il penultimo verso) che lascia sul fondo la parte pesante e impura per distillare l’ essenza.
Paradossalmente, solo se immaginiamo per una attimo di annullare il nostro io (con le sue aspirazioni annesse) possiamo arrivare ad affermarlo, con la giusta positività, trovando la forma e il tono della nostra espressione, dando corpo e sostanza a quelle che altrimenti resterebbero davvero soltanto farneticazioni della mente.

(apo)